“L’incontro tra i popoli, in un mondo senza frontiere, in cui le realtà culturali possano esprimersi nella ricchezza e varietà di conoscenze e tradizioni ancestrali, come “La Foglia sacra della Coca”.
Un’utopia … che vale ben qualunque prezzo!!!
Era il mese di luglio 1994, nella selva tropicale del Chapare, in Bolivia.
Da un anno circa portavo avanti, sola, una micromissione umanitaria, chiamata Rayos de sol, finanziata da un gruppo privato di conoscenti europei, sostenitori delle mie battaglie perse.
In collaborazione con le comunità autoctone e la dirigenza della Federación de Trabajadores Campesinos del Trópico de Cochabamba (FETCTC) - allora guidata dal sindacalista boliviano, aymara e cocalero, Evo Morales Ayma, attuale Presidente di Bolivia - l’obiettivo principale fu lo sviluppo integrale con la difesa, valorizzazione e promozione della sacra pianta del mondo andino-amazzonico: la Coca.
L’operazione antidroga Nuevo Amanecer - di peso internazionale per la partecipazione attiva della D.E.A. (Drugs Enforcement Administration) degli Stati Uniti - congiuntamente con le forze poliziesche e militari boliviane, lanciò alle stelle i livelli di già palpabile tensione nella regione.
Centinaia di campesinos, uomini, donne ed anche ragazzini e bambini, furono fermati – e trattenuti per periodi variabili, anche lunghi, nel quartier generale della D.E.A. a Chimoré - anche solo per non avere con sè la carta d’identità, che, a volte, veniva richiesta senza fondamento logico, per esempio alle donne che lavavano al fiume.
Donne gravide partorivano in carcere, dove erano state detenute, magari anche con altri bimbi piccoli; per i minori d’età interveniva la Defensa de los Niños Internacional.
I dirigenti dei cocaleros furono presi di mira con particolare accanimento, con il chiaro fine di rompere l’unità del movimento campesino.
Il dirigente Germán Felípez della Central Campesina 14 de Septiembre fu detenuto, in quel mese di luglio, per alcuni giorni, prima a Chimoré, al quartier generale della D.E.A. e, in seguito, a Cochabamba, per aver protestato sul sequestro di una quantità di foglia di Coca, che secondo lui era dentro i limiti della legalità.
Durante il fermo fu sottoposto a forti pressioni perchè dichiarasse, firmando anche una dichiarazione già pronta all’uopo, di essere coinvolto nella narcoguerriglia.
Anche il dirigente Felipe Cáceres, allora Secretario de Actas della FETCTC., attuale Ministro della Coca, fu fermato per alcune ore, il 21 Luglio, mentre i rappresentanti stranieri di alcune istituzioni internazionali, attive in Bolivia, vennero a lungo interrogati dall’INTERPOL, sulle loro relazioni con la dirigenza delle organizzazioni contadine e cocaleras.
In quanto a me, il 21 luglio, al posto di controllo del Castillo, a Villa Tunari, i Leopardos – la forza speciale boliviana antinarcotraffico – mi intimarono di togliere dalla mia camionetta Toyota la bandiera indigena, a quadri arcobaleno, la Wiphala, donatami dalle comunità del Chapare, con cui collaboravo, per essere più chiaramente identificata e schierata nella lotta per l’autodeterminazione dei Popoli
Al mio rifiuto, un tenente del posto di blocco strappò violentemente la Wiphala, provocando la mia reazione e una colluttazione per riappropriarmi della bandiera … Il prezzo fu la minaccia di arresto e detenzione.
Il 23 e 24 luglio si realizzarono riunioni della Commissione dei Diritti Umani - costituita dall’avvocato, deputato d’opposizione, Dr. Ramiro Barrenechea, dall’avvocato rappresentante dell’Assemblea permanente dei Diritti Umani, Dr. Edwin Claros, dal rappresentante della Conferenza Episcopale Boliviana, Victor Vacaflores e dai rappresentanti delle organizzazioni dei lavoratori, Cimar Victoria della CSUTCTB e Juan de la Cruz Villca della C.O.B. – nelle comunità chapareñas di Shinaota, Chimoré, Ivirgarzama, Eteramazama, Isinuta, Villa 14 de Septiembre, con la presenza di Evo Morales Ayma e altri dirigenti cocaleros, ai quali offrivo la mia collaborazione, in tutti i modi possibili, anche mettendomi a loro disposizione, alla guida del veicolo donato dall'Italia a Rayos de Sol ...
Si raccolsero denunce pubbliche della popolazione, documentando violenze, angherie e danni, subiti dalle persone fisiche e dai pochi beni delle comunità e famiglie contadine. La mia collaborazione con la Commissione dei Diritti Umani fu presa come un’ulteriore provocazione dalle forze militari, che, infatti, il 25 Luglio di nuovo mi fermarono e intimidarono, al posto di blocco del Castillo.
Il 6 agosto arrivò nel Chapare un ulteriore contingente di circa 200 uomini, facendo prevedere la militarizzazione del Trópico di Cocahabamba. Per lunedì, 8 Agosto era prevista una grande mobilitazione contadina contro le manovre repressive in atto. Io avevo deciso di non partecipare, per ragioni di prudenza, essendo cosciente di essere “controllata” e percependo tensione ogniqualvolta passavo in macchina per i posti di blocco, specialmente quando ero in compagnia dei dirigenti cocaleros.
Due amici italiani che si trovavano temporaneamente con me scavalcarono il cancello del villaggio turistico Sumuqué, uscendo all’alba, per non disturbare il personale. Lí avevo gentilmente ottenuto dai proprietari una stanza fissa, come punto di riferimento per quando uscivo dalla selva.
I due giovani furono fermati dalle sentinelle di guardia del quartiere generale dei Leopardos, confinante con il villaggio turistico Sumuqué. Il maggiore dei due, fotoreporter, fu accompagnato alla mobilitazione contadina dai militari stessi, grazie alla sua qualifica professionale documentata, mentre l'altro fece il mio nome come referenza.
Alle 8.15 am un giudice militare, con alcuni agenti e soldati, si presentò alla mia porta e, verificata la mia identità, mi ordinò di andare a riconoscere il giovane, in modo che potesse essere rilasciato.
Al quartier generale dei Leopardos, mi furono rivolte molte domande da parte del giudice militare e del rappresentante del Governo, Victor Hugo Canelas. Risposi a tutte le domande, consegnando anche una copia del mio Curriculum Vitae, con foto e riferimenti legali e logistici di Rayos de sol, nella città di Cochabamba.
Ritornai al villaggio Sumuqué, con il giovane rilasciato,nonostante la tensione fosse molto intensa, a causa della moltitudinaria mobilitazione campesina, che si sarebbe realizzata quella mattina a Chimoré.
Ero seduta a scrivere in veranda, quando, alle 10.30 am, ritornò il giudice militare, accompagnato questa volta da una nutrita scorta di militari e agenti in borghese: mi informò che ero stata denunciata per attività illegali, legate al narcotraffico, mascherate da azioni filantropiche, per cui dovevano perquisire la mia stanza.
Io reagii a parole, ritenendo ingiuste l’accusa e la richiesta di perquisizione, per cui non c’era un mandato e intesi anche che il giudice militare non aveva diritto di giurisdizione.
Non ottenendo nulla, riuscii a raggiungere la saletta della ricezione e a telefonare al mio avvocato a Cochabamba, il Dr Moisés Kestenbaum, dopo aver lottato per recuperare la mia agenda, che mi era stata sottratta dai militari, che cercarono di impedirmi di telefonare, spianando i mitragliatori contro di me …ma io telefonai ugualmente. L’avvocato mi disse che una perquisizione senza mandato era contro la nuova legge boliviana, ma che non avevo alternative, essendo loro armati ed essendo lui lontano almeno 4 ore di viaggio da Villa Tunari: dovevo, quindi, accedere alla richiesta di lasciar perquisire la mia stanza!
Tornammo alla mia stanza, che fu perquisita, mentre io stavo sulla porta e commentavo a voce alta l’ingiustizia che stavano commettendo, contro di me, così come contro i campesinos e contro la Coca.
Nonostante il militare fosse uscito dalla mia stanza, dicendo al giudice, davanti a me, che non si era trovato nulla [ovviamente … cercavano droga …], decisero di portarmi con il giovane volontario, a Chimoré per … una dichiarazione ufficiale! Chiesi di essere lasciata sola per vestirmi per … il viaggio … Dentro di me sentivo che sarebbe stato … un viaggio … e forse … senza ritorno … ma mi fu rifiutato … e dovetti procedere all’operazione con la porta della stanza aperta e un militare col mitra spianato che mi teneva d’occhio … C’era una sola finestra di fianco alla porta e non avrei proprio potuto sfuggire loro da nessuna parte … !!! Mi misi jeans e scarpe nere, camicia rossa, gilet andino e presi il passaporto … niente altro!!! Riuscii a raggiungere di nuovo il telefono, per lasciare un messaggio sulla segreteria telefonica del mio avvocato, dicendogli che ci stavano portando via … cercai di tranquillizzare il volontario, che non si dava ragione di che cosa stesse succedendo …
Immaginando che, se non ci avessero rilasciati, qualche autorità sarebbe tornata per una perquisizione più approfondita … riuscii a dare, di nascosto, le chiavi della Toyota bianca di Rayos de sol a una delle ragazze, dipendenti del villaggio Sumuqué, che si era avvicinata a vedere che succedesse …
I proprietari, Don Jaime e la moglie, che erano sempre stati gentilissimi con me, anche mettendomi in guardia contro i pericoli che correvo a “schierarmi” così apertamente, nel Chapare, in favore della Coca, de cocaleros e, soprattutto, di Evo Morales Ayma, quel lunedì mattina non c’erano, essendo andati a Santa Cruz de la Sierra.
Caricati su un fuoristrada bianco blindato, con scorta armata e seguiti da un altro mezzo simile, si partì per Chimoré: dopo circa due chilometri, la mobilitazione dei campesinos bloccava la strada. I due veicoli tentarono di passare attraverso la massa umana, provocando la reazione dei campesinos armati di pali, pietre e machete.
Due dirigenti di Villa 14 de Septiembre – credo di ricordare il nome Abelino - mi riconobbero e si avvicinarono al finestrino.
Nonostante le armi puntate, feci scorrere il finestrino e, alla loro domanda: ¿Pasa algo? [Succede qualcosa?], risposi: Sí!!!, fissandoli intensamente, come per trasmettere un messaggio, senza parlare.
Naturalmente si attivarono immediatamente, andando ad informare i dirigenti cocaleros - c’era Evo Morales Ayma quel giorno a capo della mobilitazione – che era in atto quell’azione militare repressiva che mi coinvolgeva, con il giovane volontario … .
Gli agenti si innervosirono molto e fu rapidamente invertita la marcia, per dirigersi a Cochabamba … alla sede dell’INTERPOL, dopo una brevissima sosta al Sumuqué, per prendere un giubbotto pesante, prevedendo il clima freddo di Cochabamba e … magari … di La Paz.
Dalle ore 16.45 dell’8 agosto alle ore 4.30 del mattino del 9 agosto, nella sede dell’Interpol, si procedette a un interrogatorio pressante, intimidatorio ed ossessivo, per farmi dichiarare di essere legata a Sendero Luminoso, a gruppi dell’EGTK (Ejercito Guerrillero Tupac Katari) … [esibirono varie foto, in cui avrei dovuto riconoscermi riunita con questi gruppi … ma io lí proprio non c’ero!!!], di finanziare una guerriglia cocalera nel Chapare, di promuovere manovre di destabilizzazione del Governo boliviano, di fare ponte con l’Europa, per cercare fondi finalizzati ad attività sovversive …
A quel punto capii che c’erano già arrivati da soli a quanto fosse assurda l’accusa di narcotraffico contro di me … non essendoci prove di nessun genere ed essendo così appassionata e trasparente la mia difesa della Coca sacra .
L’unica donna che mi interrogò fu aggressiva, acida, irritante, cercando di farmi capitolare in tutti i modi ed entrando nel mio privato, per ottenere false dichiarazioni contro i massimi dirigenti cocaleros … con offese ed insulti, ironie e falsità … Insisteva per avere informazioni di ogni genere sui dirigenti cocaleros, con i quali non ho mai negato di collaborare nelle giuste rivendicazioni sociali e culturali. Naturalmente da me non ottenne nulla, che non fosse la verità … L'interesse ritornava continuamente, in forma insistente e cattiva, su Evo Morales Ayma ... con una sete vorace di qualunque minimo dettaglio ... un apressione che mi fu davvero difficile reggere, manifestando comunque sempre e solo totale e radicale lealtá al compañero de lucha cocalera che è stato Evo per me.
Quella notte, come prevedibile, un giudice militare fu mandato al villaggio Sumuqué, dove fu sequestrato tutto ciò che c’era nella mia stanza: archivio, corrispondenza, documenti, denaro che era destinato a spese programmate per quei giorni, per il completamento del Centro de Salud de Namatamojo (circa 2000 dollari americani e 5000 boliviani) … e la camionetta Toyota Hilux, CEP 024, nuova di zecca, solo 3 settimane di vita … neanche duemila chilometri di percorrenza, donata dagli amici italiani … della quale non si seppe più nulla ...
Accettai un mate de Coca verso le ore 4 del mattino, quando mi lasciarono finalmente in pace, dopo che alcune donne poliziotto si erano alternate, maltrattandomi prima a parole e poi spingendomi contro il muro e buttandomi a terra … per ottenere false dichiarazioni e denunce, che da me non avrebbero mai avuto … sempre con un interesse morboso su Evo Morales Ayma ...
Alle ore 7 del mattino del 9 agosto, con il volontario - che era pure stato interrogato ed insultato, con metodi di intimidazione ingiustificati, considerato che era arrivato in Bolivia per un mese di volontariato, con limitata conoscenza della lingua e della complessa realtà boliviana - il capo dell’INTELIGENCIA ed un maggiore dell’INTERPOL, ci condussero via terra a La Paz, alla sede della C.E.I.P. [Polizia politica investigativa], dove restammo dalle ore 14.30 del 9 agosto alle ore 5.30 del mattino dell’11 agosto.
Durante il viaggio, sempre affascinante attraverso le valli fino alle altitudini della sierra, ci furono alcune fermate, per colazione e pranzo. Io rifiutai sempre il cibo, pijchando foglie di Coca [cioè succhiando un bolo di foglie, secondo l’uso tradizionale] che avevano accettato di darmi. Durante la sosta per il pranzo, un po’ più lunga di quella di colazione, già in altitudine, sotto un sole splendido e il cielo terso delle Ande, uno dei due militari, che ci accompagnavano … un tenente molto sicuro di sè ed esageratamente cortese, mi prese da parte e mi disse che sarebbe stato meglio che scendessi a patti con lui … che se avessi acceduto a svelare i segreti dei dirigenti cocaleros (naturalmente erano interessati ai nomi di maggior spicco …) … contribuendo alle indagini, ne sarei uscita pulita e mi avrebbero riportata subito al Chapare, senza menzione dell’accaduto. L'ultimo tentativo di farmi "scivolare" fu che si sarebbe contentato di una mia sola denuncia ... bastava dichiarassi che Evo Morales Ayma era vincolato al narcotraffico internazionale e la mia parola sarebbe stata sufficiente per farlo estradare negli USA e dare quindi un senso a tutta l'operazione che mi stava coinvolgendo ... Lo squallore della richiesta mi rafforzó nella strenua difesa di Evo e cocaleros, costasse quel che costasse ...
Gli dissi gentilmente, ma fermamente, che da me non avrebbe ottenuto altro che la verità e che ciò che io avevo visto coi miei occhi (ed accettato volontariamente di condividere) era che la lucha cocalera si portava avanti nella piena legalità, sotto la luce del sole … che nessun leader cocalero da me conosciuto aveva a che fare con situazioni illegali vincolate al narcotraffico … e che facessero pure di me ciò che volessero, dato che io non temevo nulla. Cercai di spiegargli, con poco risultato, che non ero andata in Bolivia per interessi personali e materiali … e che, per me, le Cause dei Popoli sono questioni serie, radicali … fino alle ultime conseguenze … e … che questo l’avevo visto messo in pratica proprio dai cocaleros ..
All’arrivo alla C.E.I.P, fui accompagnata in un sotterraneo, dove si aprì una delle pesanti porte metalliche, scoprendo una cella carceraria, ampia ed affollata soprattutto di donne e bambini. Ad un cenno di un agente carcerario apparve una donna che dovevo riconoscere … una delle contadine che avevo conosciuto nel Chapare, che era stata tra le donne più attive nel lavoro sociale e nella difesa della Coca: solo pochi giorni prima era stata arrestata, per presunti legami con il narcotraffico ….
Mi guardò con uno sguardo totalmente freddo ed indifferente, come per dirmi che dipendeva da me dichiarare di conoscerla o no … Io non ebbi nessun dubbio nell’affermare che la conoscevo … e che la conoscevo come una delle compañeras più impegnate del movimento campesino.
Gli agenti che mi scortavano si guardarono un attimo, perplessi, li sentii dire che non era il caso che mi lasciassero laggiù e … guidarono la comitiva verso in piani alti, dove ci mantennero seduti in un salone al piano superiore di un edificio di stile coloniale, molto elegante.
Ci era permesso di avvicinarci ai piccoli balconi nelle ore del freddo sole dell’inverno andino, sempre sotto il tiro di alcuni militari armati, che ci sorvegliavano. Per la notte ci furono consegnati due materassi, con qualche coperta, stesi in un angolo dello stesso salone. Per accedere ai servizi igienici si doveva chiedere il permesso ed essere accompagnati dalla scorta armata.
Le ore furono occupate da interrogatori ancora più dettagliati, specifici, indagatori … tecnicamente più raffinati, meno provocatori e pressanti, ma … una cosa da film … Ci fecero tutte le foto di rigore, da ogni prospettiva, compilarono dei questionari, consistenti in decine di pagine, dove le domande erano davvero da indagine psicosocioanalitica: abitudini quotidiane, attitudini sportive, gusti nell’abbigliamento, nel cibo, possesso di armi, di animali, interessi culturali, artistici, geografici, livello di studi … nonché antecedenti familiari … e … nome di battaglia … etc … etc.
Naturalmente risposi a tutto, non avendo alcuna limitazione linguistica e ritenendo di avere abbastanza chiaro lo scenario dei fatti. Si fece strada in me la sensazione molto reale che, probabilmente, sarei stata espulsa, dato il flusso di ricordi che mi si apriva nella mente, sulla scia del vissuto anteriore e di ciò che mi raccontò un capitano della scorta, che fu sempre molto gentile, insieme ad un giovane militare che ci sorvegliava nel salone di rappresentanza.
In quel luogo le giornate erano eterne e l’unico collegamento col mondo erano i molti quotidiani che venivano sparsi sull’immenso tavolone di rappresentanza: molteplici e clamorose furono in quei giorni le notizie sulla nostra vicenda e le dichiarazioni di Evo Morales Ayma e dei leaders cocaleros e di opposizione sull’assurdità di ciò che ci stava succedendo.
Il tardo pomeriggio del 10 agosto, il capitano si sedette vicino a me e mi chiese di mangiare una minestra con lui; fu gentile e non rifiutai; poi mi parlò e mi disse che lui era quechua, amante della sua terra e della sua cultura, ma obbligato dalle circostanze ad accettare il lavoro nelle forze militari, schierate contro il narcotraffico, perché meglio pagato, grazie ai finanziamenti internazionali della guerra contro la Coca. Mi disse anche che la vera tragedia della mia situazione era che io avevo ragione, che era splendido ciò che avevo avviato nel Chapare … ma che in quel momento, se non ci fosse stata, una come me si sarebbe dovuto inventarla, perché era necessario un capro espiatorio, come scintilla tra i campesinos cocaleros e le forze di repressione.
Mi permise di chiamare il mio avvocato, cui lasciai un messaggio sulla segreteria telefonica, mi disse che il giorno dopo tutto si sarebbe risolto e sarei tornata al Chapare e mi annunciò l’incontro con un rappresentante del Governo boliviano e con un addetto dell’Ambasciata italiana.
Il rappresentante del Governo si lanciò in un’arringa accusatoria, senza neanche tirare il fiato … lo ascoltai, senza batter ciglio … e poi chiesi la parola, che mi fu concessa. Spiegai ciò che era stato il mio cammino umanitario precedente, l’opera che si realizzava nel Chapare e le ragioni della Coca verde, collocando definitivamente la mia opera contro il narcotraffico e le droghe.
Rimase un attimo pensoso, ammise di non aver avuto prima tutte le informazioni che io gli davo e promise di parlare con il Ministro de Gobierno, in nottata.
Il giovane addetto dell’Ambasciata italiana era arrivato a La Paz da circa un mese, sembrava piuttosto spaesato, mi disse che tutto sommato apparivo in buone condizioni, che l’Ambasciatore avrebbe parlato del caso con il Ministro de Gobierno e che avrei potuto presentarmi in Ambasciata l’indomani, quando mi avessero rilasciato.
Volli credere che sapesse di che cosa stesse parlando, ma tutto mi diceva che ... il destino era segnato …
Chiesi inutilmente un colloquio diretto e personale con il Ministro de Gobierno …
Un’altra gelida notte a La Paz e alle 5.30 di mattina dell’11 agosto, . venne il capitano a prenderci, per portarci a Cochabamba …
Lungo il percorso in macchina, sentii che disse all’autista American Airlines ed ebbi la conferma che ci espellevano.
Ebbi l’unico cedimento … piansi di rabbia, maledicendo il Ministro de Gobierno [che pochi mesi dopo fu allontanato dal Governo e incriminato per vincoli con il narcotraffico] e dichiarando che i campesinos avrebbero continuato la lucha e si sarebbe mobilitati anche in mia difesa.
Il capitano mi tranquillizzò, affermando che dall’Europa avrei potuto comunicare con quella che era stata la mia gente, appoggiare la Causa ed anche fare tutto il possibile per tornare; aggiunse che era sicuro che un giorno avremmo potuto trovarci nel Chapare pacificado, a mangiare insieme un buon pesce della sua terra …
Nessuna autorità, neanche dell’Ambasciata italiana, apparve in aeroporto; il capitano fece le pratiche d’imbarco, mi ritirò il sacchettino con le foglie di Coca e … davanti al tunnel d'accesso all’aereo … ci consegnò biglietti e passaporti … con ... un timbro rosso, grande tutta la pagina: Expulsado de Bolivia por injerencia política [Espulso dalla Bolivia per ingerenza politica] ...
“El encuentro entre los pueblos, en un mundo sin fronteras, donde las realidades culturales puedan expresarse en la riqueza y variedad de conocimientos y tradiciones ancestrales, como “La Hoja sagrada de la Coca”.
¡¡¡Una utopía … que bien vale cualquier precio!!!
Ocurrió en el mes de Julio de 1994, en la selva tropical del Chapare, en Bolivia.
Desde hace un año apróximadamente, yo llevaba, solita, una micro-misión humanitaria, llamada Rayos de sol, financiada por un grupo privado de conocidos europeos, sostenidores de mis batallas perdidas.
En colaboración con las comunidades autóctonas y los dirigentes de la Federación de Trabajadores Campesinos del Trópico de Cochabamba (FETCTC) - en aquel entonces liderada por el sindicalista boliviano, aymara y cocalero, Evo Morales Ayma, ahora Presidente de Bolivia – el objetivo principal fue el desarrollo integral con la defensa, valorización y promoción de la sagrada planta del mundo andino-amazónico: la Coca.
El operativo antidroga Nuevo Amanecer - de portada internacional por la participación activa de la D.E.A. (Departamento Estadounidense Antidrogas) de Estados Unidos - conjuntamente con las fuerzas policiales y militares bolivianas, elevó hasta niveles inesperados la tensión ya perceptible en la región.
Centenares de campesinos, hombres, mujeres y también muchachos y niños, fueron apresados – y retenidos por períodos variables, en algunos casos largos, en el cuartel general de la D.E.A. en Chimoré – por ejemplo cuando no llevasen consigo el documento nacional de identidad, solicitado a veces, sin fundamentación lógica, como a las mujeres que lavaban ropa en el río.
Mujeres embarazadas daban a luz en la cárcel, donde estaban presas, a veces también con otros niños pequeños; de los menores se hacía cargo la Defensa de los Niños Internacional.
Los dirigentes de los cocaleros cayeron en el blanco de la persecución, con el claro fin de romper la unidad del movimiento campesino.
El dirigente Germán Felípez de la Central Campesina 14 de Septiembre fue detenido, aquel mes de julio, por unos días, antes a Chimoré, en el quartel central de la D.E.A. y, luego, a Cochabamba, por protestar frente al secuestro de una cantidad de hoja de Coca, que según él estaba dentro de los límites legales.
Durante la detención fue sometido a fuertes presiones para que declarase, firmando también una declaración ya lista, estar involucrado en la narcoguerrilla.
También el dirigente Felipe Cáceres, en aquel entonces Secretario de Actas de la FETCTC., ahora Ministro de la Coca, fue retenido unas horas, el 21 de Julio, mientras q los representantes extranjeros de algunas instituciones internacionales, operativas en Bolivia, fueron interrogados por largo rato por parte de INTERPOL, sobre sus relaciones con los dirigentes de las organizaciones campesinas y cocaleras.
En cuanto a mi persona, el 21 de Julio, en el puesto de control del Castillo, en Villa Tunari, los Leopardos – la fuerza especial boliviana antinarcotráfico – me mandaron sacar de mi camioneta Toyota la bandera indígena, con los cuadritos arcoiris, la Wiphala, que las comunidades del Chapare, con las cuales colaboraba, me habían ofrecido, para identificarme más claramente con la lucha radical para la autodeterminación de los Pueblos
Mi rechazo provocó la reacción del teniente del puesto de control q arrancó violentamente la Wiphala, frente a lo cual yo me lancé contra el teniente, peleando hasta recuperar la bandera ... El precio fue la amenaza de detención .
El 23 y 24 de Julio se realizaron reuniones de la Comisión de Derechos Humanos - constituida por el abogado, diputado de oposición, Dr. Ramiro Barrenechea, por el abogado representante de la Asamblea permanente de los Derechos Humanos, Dr. Edwin Claros, por el representante de la Conferencia Episcopal Boliviana, Victor Vacaflores por los representantes de las organizaciones de los trabajadores, Cimar Victoria de la CSUTCTB y Juan de la Cruz Villca de la C.O.B. – y en las comunidades chapareñas di Shinaota, Chimoré, Ivirgarzama, Eteramazama, Isinuta, Villa 14 de Septiembre, con la presencia de Evo Morales Ayma y otros dirigentes cocaleros, a quienes ofrecía mi colaboración en todas las maneras posibles, también manejando, para llevarlos, la movilidad donada desde Italia a Rayos de sol.
Se recolectaron denuncias públicas de la población, documentando violencias, maltratos y percances, en contra de las personas físicas y de las pocas pertenencias de las comunidades y de las familias campesinas. Mi colaboración con la Comisión de los Derechos Humanos fue tomado como una provocación más por las fuerzas armadas, que, en realidad, el 25 de Julio, me retuvieron de nuevo y me intimidaron, en el puesto de control del Castillo.
El 6 de Agosto llegó al Chapare otro contingente de unos 200 militares, haciendo prever la militarización del Trópico di Cocahabamba. Para lunes, 8 de Agosto estaba prevista una importante movilización campesina contra las maniobras represivas en acto.
Yo había decidilo no asistir, por razones prudenciales, siendo conciente de estar “controlada” y percibiendo tensiones cada vez q pasaba en mi camioneta por los puestos de control, especialmente cuando estaba en compañía de los dirigentes cocaleros.
Dos amigos italiano que se encontraban conmigo treparon la reja del centro turístico Sumuqué, saliendo al amanecer, para no molestar el personal de servicio. Ahí había obtenido un cuarto permanente, gracias a la amabilidad de los duenos, como un punto di referencia y apoyo, para cuando salía de la selva.
Los dos jóvenes fueron retenidos por los guardias del cuartel general de los Leopardos, colindante con el centro turístico Sumuqué. El mayor de ellos, fotoreporter, fue acompañado por los militares mismos a la movilización campesina, gracias a su calificación profesional documentada, mientras que el voluntario dio mi nombre, como referencia.
A las 8.15 am un juez militar, con unos policias y uniformados, se hizo presente a mi domicilio en el Sumuqué, averiguó mi identidad y me mandó ir a identificar al joven, de manera que pudiesen soltarlo.
En el cuartel general de los Leopardos, fui sometida a muchas preguntas investigativas por parte del juez militare y del ripresentante del Gobierno, Victor Hugo Canelas. Respondí todas las preguntas, entregué una copia de mi Curriculum Vitae, con unas fotos y las referencias legales y logísticas ei Rayos de sol, en la ciudad de Cochabamba.
Regresé al centro Sumuqué, con el joven, a pesar de la situación muy tensa, por la movilización campesina, que iba a reunir a miles de cocaleros, aquella mañana en Chimoré.
Estaba sentada, escribiendo en el patio, cuando, a las 10.30 am, volvió el juez militar, acompañado, en esta nueva visita, por una fuerte escolta armada de uniformados y agentes especiales, me comunicó q había sido denunciada por actividades ilegales, relacionadas con el narcotráfico, encubiertas por acciones filantrópicas, por lo cual tenían que allanar mi domicilio.
Yo reaccioné verbalmente, considerando que era injusto lo que se me acusaba así como el pedido de allanamiento, para lo cual no había una orden con valor legal y entendí q tampoco el juez militar tenía derecho de jurisdicción para eso. No logrando nada con mis palabras, intenté alcanzar la recepción para llamar a mi abogado, q estaba en Cochabamba, el Dr Moisés Kestenbaum, luego de una pelea pa’ rescatar mi agenda, que había sido secuestrada por los militares, que buscaron impedir que llamara por teléfono, apuntándome sus ametralladoras …sin embargo igual logré llamar. El abogado me dijo que un allanamiento sin la orden correspondiente iba en contra de la nueva ley boliviana, mas que no me quedaba otra, dado que ellos tenían armas y que él estaba a unas 4 horas de viaje de Villa Tunari: entonces, me quedaba sólo ¡¡¡aceptar que allanasen mi habitación!
Volvimos a mi cuarto, que fue allanado, mientras que yo estaba en la puerta y comentaba en voz alta la injusticia q estaban comentiendo en contra de mi persona, y también en contra de los campesinos y de la Coca.
A pesar de que el uniformado saliera de mi cuarto diciéndole al juez, delante mío, que no habían encontrado nada [obviamente … buscaban droga …], decidieron llevarme con Ángelo, el voluntario, a Chimoré para … ¡una declaración oficial! Dado q estaba con una prenda de casa, rogué que me dejasen sola para vestirme y arreglarme para… el viaje … Dentro mío percibía que sería … un viaje de verdad … … y quizás … sin retorno ... sin embargo se me denegó el permiso … y tuve que vestirme con la puerta de mi cuarto abierta y un uniformado apuntando su metralladora en contar mío … No había más que una ventana a la lado de la puerta y no hubiese de todos modos podido escaparme por ningún lado … !!! Me puse pantalón jeans y zapato negro, camisa roja, chalequito andino y agarré mi pasaporte … nada más!!! Logré alcazar de nuevo el teléfono, para dejarle un mensaje en la contestadora de mi abogado, avisándole que nos estaban llevando … buscaba también calmarle al voluntario, que no podía darse razón de lo que pasaba …
Imaginando que alguna autoridad regresaría para un allanamiento más detallado, si no nos hubiesesn liberado … logré entregarle desapercibidamente las llaves de la camioneta Toyota blanca de Rayos de sol a una de las chicas trabajadoras del centro turístico Sumuqué, quien se había acercado para averiguar lo que pasaba …
Los dueños, Don Jaime y su esposa, aquella mañana del lunes, no estaban, porque se habían ido de viaje a Santa Cruz de la Sierra; ellos habían sido siempre muy amables conmigo y muy preocupados por los peligros que podría enfrentar en “tomar parte” tan radicalmente, en el Chapare, en favor de la Coca, de los cocaleros y - sobretodo - de Evo Morales Ayma.
Nos metieron a una vagoneta todoterreno militar blanca, con escolta armada, acompañados por otro vehículo parecido, y partimos rumbo a Chimoré: luego de recorrer unos kilómetros, la movilización de los campesinos bloqueba la carretera. Los dos vehículos intentaron pasar forzosamente en medio de la muchedumbre, provocando la reacción de los campesinos armados con palos, piedras y machetes.
Dos dirigentes de Villa 14 de Septiembre – creo acordarme el nombre Abelino - me reconocieron y se acercaron a la ventanillla del vehículo.
A pesar de las armas apuntadas en contra de nuestro, hice desizar el vidrio y, a la pregunbtad el dirigente: ¿Pasa algo? contesté:¡Sí!!!, fijándolos intensamente en los ojos, como para transmitirles un mensaje sin hablar.
Naturalmente los dirigentes tomaron acción de inmediato, corriendo a notificarles a los demás dirigentes cocaleros - estaba Evo Morales aquel día liderando la movilización – que se estaba realizando aquella represión armada que me involucraba con el voluntario … .
Los uniformados se pusieron muy nerviosos por la interferencia y al toque se cambió el rumbo, para viajar hacia Cochabamba … a la sede de INTERPOL, luego de aceptar mi solicitud de parar un ratito en el centro turístico Sumuqué, para sacar unas casacas ... poruqe yo ya preveía que acabaríamos en el clima frío de Cochabamba y … quizás … de La Paz.
Desde las 16.45 del día 8 de agosto hasta las 4.30 de la mañana del 9 agosto, en la sede de INTERPOL, fui sometida a un interrogación con mucha presión e intimidación, para llevarme a declarar lo que querían, como que era afiliada a Sendero Luminoso, a los grupos de EGTK (Ejercito Guerrillero Tupac Katari) … [me presentaron varias fotos, donde según ellos yo hubiese debido reconocerme a mí misma reunida con dichos grupos … sin embargo ¡¡¡yo no estaba allí de ninguna manera!!!] … Querían sacarme la confesión de estar financiando una guerrilla cocalera en el Chapare, de promover intentos para derribar el Gobierno boliviano, de hacer puente con Europa y recaudar fondos destinados para acciones subversivas …
A esas alturas me di cuenta que ellos mismos habían entendido lo absurdo de acusarme de narcotráfico … no existiendo ninguna prueba en contra mío y apareciendo tan apasionada y transparente mi defensa de la Coca sagrada .
La única mujer que me interrogó fue agresiva, amarga, provocativa, buscando hacerme tropezar de cualquier manera y metiéndose en mi privacidad, para obtener falsas declaraciones en contra de los máximos dirigentes cocaleros … con ofensas e insultos, ironias y falsedades … Ella me insistía para sacarme cualquier información sobre los dirigentes cocaleros, con quienes nunca he negado haber colaborado en las justas reivindicaciones sociales y culturales. Es cierto que de mí no obtuvo nada que no fuese la verdad … Su presión volvía y reiteraba ... de forma intolerable sobre Evo Morales Ayma, en el intento de sacarme cualquier detalle en contra de él: no fue fácil para mí resistir a la presión, pero de mí siempre y sólo escuchar manifestaciones de lealtad hacia el compañero de lucha cocalero que fue Evo para mí.
Aquella noche, como yo había presentido, un juez militar llegó al centro turístico Sumuqué, donde incautaron todo lo que había quedado en mi cuarto: mi archivo, correspondencia, documentos, dinero destinado a gastos ya planificados para esos días, para acabar el Centro de Salud de Namatamojo (algo de 2000 dólares americanos y 5000 bolivianos) … y la camioneta Toyota Hilux, CEP 024, nuevísima, con sólo 3 semanas de vida … escazos dos mil kilometros de recorrido, una donación de los amigos sostenidores italianos ... de la cual nunca supe nada ...
Acepté un mate de Coca sobre las 4 de la mañana, cuando finalmente me dejaron tranquila, después que unas mujeres policias se habían alternado, maltratándome al comienzo con palabras y luego empujándome contra la pared y echándome al piso … para sacarme falsas declaraciones y denuncias, lo cual yo nunca hubiese aceptado ...
A las 7 de la mañana del 9 agosto, con el voluntario – quien había también sido interrogado e insultado, con métodos de intimidación injustificados, considerando que había llegado a Bolivia por un mes de voluntariado, con limitado conocimiento del idioma y de la compleja realidad boliviana – el jefe de INTELIGENCIA y un mayor de INTERPOL, nos condujeron, por tierra, a La Paz, a la sede de C.E.I.P. [Policía política de investigación] donde fuimos retenidos desde las 14.30 del 9 agosto hasta las 5.30 de la mañana del 11 agosto.
Durante el viaje, siempre encantador por los valles hasta las alturas de la sierra, hubo unas paradas , para desayuno y almuerzo. Yo rechacé siempre la comida, pijchando hojas de Coca, que habían accedido a proporcionarme. Durante la parada para el almuerzo, un poco más larga que la parada del desayuno, estando ya en altura, bajo un sol estupendo y el cielo limpio de los Andes, uno de los dos uniformados que nos acompañaban … muy seguro de sí mismo y demasiado amable hacia mí, me llevó a un rincón aislado y me dijo que para mí hubiese sido mejor acordarme con él … que si yo accediese a desvelar los secretos de los dirigentes cocaleros (naturalmente estaban interesados en los dirigentes máximos …) … contribuyendo a las investigaciones, yo saldría limpia y regresaría de inmediato al Chapare, sin ninguna mención de los hechos ... Por último declaró contentarse con una denuncia mía en contra de Evo Morales Ayma, por vínculos con el narcotráfico internacional, afirmando que mi palabra sería suficiente para hacer extraditar a Evo hacia EE.UU. y darle un sentido a toda la operación que me encontré protagonizando ... sus palabras me llegaron cargados de una tal mezquindad que me fortalecí en la defensa de Evo y cocaleros, a cualquier precio.
Le repliqué con amabilidad, pero firme, que de mi nunca sacaría otra cosa que la verdad y que yo había comprobado (y aceptado compartir libremente) que la lucha cocalera se llevaba en le plena legalidad, bajo la luz del sol … que ningún líder cocalero entre quienes yo había conocido estaba involucrado en situaciones ilegales vinculadas con el narcotráfico … y concluí que podían hacer conmigo lo que les venía en gana, que yo no tenía miedo. Intenté esplicarle, con poco éxito, que no había viajado a Bolivia por intereses personales y materiales … y que, para mí, las Causas de los Pueblos son asuntos serios, radicales … hasta las últimas consecuencias ... y … que este compromiso lo había visto realizado por los cocaleros mismos ...
Cuando llegamos a C.E.I.P, me acompañaron a una zona subterránea del edificio, donde se abrió una pesada puerta metálica, descubriendo una celda de cárcel, amplia y hacinada sobretodo por mujeres y niños. A una señal de un guardia apareció una mujer que yo debía reconocer … una de las campesinas que había conocido en el Chapare, quien había sido entre las mujeres más activas en el trabajo social y en la defensa de la Coca: unos días antes, había sido detenida, por supuesta vinculación con el narcotráfico ….
Me miró de una mirada totalmente fría e indiferente, como para decirme que estaba en mi poder declarar si la conocía o no … Yo no tuve ninguna duda en afirmar que la conocía … y que la conocía como una de las compañeras más comprometidas del movimiento campesino.
Los uniformados que me escoltaban se miraron un ratito, en suspenso, escuché que decían que no era oportuno que me dejasen ahí abajo … guíaron todo el grupo al piso de arriba, donde nos mantuvieron sentados en un salón de aquel edificio a estilo colonial muy elegante.
Nos permitieron salir a los balconcitos en las horas del frío sol del invierno andino, siempre bajo el tiro de unos uniformados armados, que nos vigilaban. Para la noche nos entregaron dos colchones, con unas frazadas, tirados en un rincón del mismo salón. Para acceder a los servicios higiénicos debíamos pedir permiso para que la escolta armada nos acompañase.
Las horas pasaron en más profundizadas interrogaciones, más espécificas, investigadoras … técnicamente más sútiles, menos provocativas y con menos presión, sin embargo … parecía como cosa de película … Nos tomaron todas las fotos requeridas por las investigaciones, desde cualquier angulo, llenaron unos cuestionarios, compuestos por decenas de páginas, donde las preguntas parecían un verdadero estudio psico-socio-analítico: hábitos diarios, actitudes deportivas, preferencias en la ropa, en la comida, posesión de armas, de animales, intereses culturales, artísticos, geográficos, niveles de carrera académica … además de los antecedentes familiales … y … el nombre de batalla …etc … etc.
Naturalmente contesté a todo, no sufriendo ninguna limitación lingüística y teniendo bastante claro el escenario de los hechos. Poco a poco se iba metiendo en mi cabeza la sensación muy real que, probablemente, me expulsarían, basado también en los recuerdos q me retornaban a la memoria, referente a mi reciente vivencia anterior y a lo que me iba contando el capitán de la escolta, que siempre fue muy amable y atento, así como un joven uniformado que nos vigilaba en el salón.
En aquel lugar las horas nunca pasaban y el único contacto con el mundo externo eran los diarios … allá tirados sobre la inmensa mesa antigua: numerosas y extensas fueron en aquellos días las noticias sobre lo ocurrido y fuertes las declaraciones de Evo Morales y los líderes cocaleros y de oposición sobre lo absurdo de lo q nos estaba pasando.
Hacia el final de la tarde del 10 de Agosto,eil capitán se sentó conmigo y me invitó a que compera una sopa con él; fue amable y se lo acepté; luego me conversó y me dijo que él era quechua, amante de su tierra y de su cultura, pero obligado por las circumstancias a aceptar el trabajo en las fuerzas armadas, operativas contra el narcotráfico, porque ahí se le pagaba mejor sueldo, gracias a las financiaciones internacionales de la guerra contra la Coca. Me comentó también que la verdadera tragedia de mi situación era q yo tenía toda la razón, que mis acciones en el Chapare … eran exactamneto lo necessario ... pero que en aquel momento, si no hubiese estado yo, una como yo se hubiese debido inventarla, porque se necesitaba un chivo espiatorio, como chispa entre los campesinos cocaleros y las fuerzas de represión.
Me permitió llamar por fono a mi abogado, a quien le dejé un mensaje grabado en su contestadora automática, me anunció que el día siguiente todo se solucionaría e yo volvería al Chapare y ei comunicó el encuentro con un representante del Gobierno boliviano y un funcionario de la Embajada italiana.
El representante del Gobierno se lanzó a un discurso acusatorio, sin parar ni para respirar … yo lo escuché inmnovil …y luego pedí la palabra que me fue concedida. Le expliqué lo que había sido mi trayecto humanitario anterior, los detalles de la obra que se realizaba en el Chapare y las razones de la Coca verde, colocando definitivamente mi obra contra el narcotráfico y las drogas.
Quedó un ratito pensativo, admitió no haber tenido toda la información que yo le había proporcionado y prometió conversar con el Ministro de Gobierno, por la noche de aquel día..
El joven funzionario de la Embajada italiana acababa de llegar a La Paz desde apenas un mes, parecía todavía desubicado, me comentó que al fin y al cabo yo aparecía en buenas condiciones, que el Embajador conversaría sobre mi caso con el Ministro de Gobierno y que me invitaba a reportar a la sede de la Embajada la mañana siguiente, cuando me soltarían.
Me ilusioné que estuviera conciente de lo que hablaba, sin embargo todo me sugería que … mi destino estaba marcado …
En vano solicité un encuentro directo y personal con el Ministro de Gobierno …
Otra helada noche en La Paz y a las 5.30 de la mañana del día 11 de Agosto, se apersonó el capitán para llevarnos ... a Cochabamba …
Durante el recorrido en carro, oí que le decía al chofer American Airlines y fue la confirmación que nos expulsarían.
Fue el único momento en me perdí mi autocontrol … lloré por la rabia, echando en contra del Ministro de Gobierno [que unos meses después fue sacado del Gobierno y acusado por supuesta vinculación con el narcotráfico] y afirmando que los campesinos seguirían en la lucha y se movilizarían también en mi defensa.
El capitán me tranquilizó, afirmando que desde Europa podría comunicar con quienes habían sido mi gente, apoyando la Causa y también dar todos los pasos posibles para volver; añadió que estaba seguro de que un día nos reuniríamos en el Chapare pacificado, para comer juntos un rico pescado de su tierrra …
Ninguna autoridad, tampoco de la Embajada italiana, apareció en el aeropuerto; el capitán cumplió con todos los trámites para el embarque, me quitó la bolsita con las hojas de Coca y … delante de la galeria de acceso al avión … nos entregó los boletos de viaje y los pasaportes … con ... un sello rojo, grande como toda la página: Expulsado de Bolivia por injerencia política ...